non c'è migliore
illustrazione di quest'immagine dello stesso Esenin
Исповедь хулигана | Confessione di un teppista versione di Massimo Rossi |
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Не каждый умеет петь, Не каждому дано яблоком Падать к чужим ногам. Сие есть самая великая исповедь, Которой исповедуется хулиган. Я нарочно иду нечесаным, С головой, как керосиновая лампа, на плечах. Ваших душ безлиственную осень Мне нравится в потемках освещать. Мне нравится, когда каменья брани Летят в меня, как град рыгающей грозы, Я только крепче жму тогда руками Моих волос качнувшийся пузырь. Так хорошо тогда мне вспоминать Заросший пруд и хриплый звон ольхи, Что где-то у меня живут отец и мать, Которым наплевать на все мои стихи, Которым дорог я, как поле и как плоть, Как дождик, что весной взрыхляет зеленя. Они бы вилами пришли вас заколоть За каждый крик ваш, брошенный в меня. Бедные, бедные крестьяне! Вы, наверно, стали некрасивыми, Так же боитесь бога и болотных недр. О, если б вы понимали, Что сын ваш в России Самый лучший поэт! Вы ль за жизнь его сердцемне индевели, Когда босые ноги он в лужах осенних макал? А теперь он ходит в цилиндре И лакированных башмаках. Но живет в нем задор прежней вправки Деревенского озорника. Каждой корове с вывески мясной лавки Он кланяется издалека. И, встречаясь с извозчиками на площади, Вспоминая запах навоза с родных полей, Он готов нести хвост каждой лошади, Как венчального платья шлейф. Я люблю родину! Я очень люблю родину! Хоть есть в ней грусти ивовая ржавь. Приятны мне свиней испачканные морды И в тишине ночной звенящий голос жаб. Я нежно болен вспоминаньем детства, Апрельских вечеров мне снится хмарь и сырь. Как будто бы на корточки погреться Присел наш клен перед костром зари. О, сколько я на нем яиц из гнезд вороньих, Карабкаясь по сучьям, воровал! Все тот же ль он теперь, с верхушкоюзеленой? По-прежнему ль крепка его кора? А ты, любимый, Верный пегий пес?! От старости ты стал визглив и слеп И бродишь по двору, влача обвисший хвост, Забыв чутьем, где двери и где хлев. О, как мне дороги все те проказы, Когда, у матери стянув краюху хлеба, Кусали мы с тобой ее по разу, Ни капельки друг другом не погребав. Я все такой же. Сердцем я все такой же. Как васильки во ржи, цветут в лице глаза. Стеля стихов злаченые рогожи, Мне хочется вам нежное сказать. Спокойной ночи! Всем вам спокойной ночи! Отзвенела по траве сумерек зари коса... Мне сегодня хочется очень Из окошка луну обоссать. Синий свет, свет такой синий! В эту синь даже умереть не жаль. Ну так что ж, что кажусь я циником, Прицепившим к заднице фонарь! Старый, добрый, заезженный Пегас, Мне ль нужна твоя мягкая рысь? Я пришел, как суровый мастер, Воспеть и прославить крыс. Башка моя, словно август, Льется бурливых волос вином. Я хочу быть желтым парусом В ту страну, куда мы плывем. 1920
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Non a tutti è dato cantare, E non tutti possono cadere come una mela Sui piedi degli altri. Questa è la più grande confessione, Che mai teppista possa rivelarvi. Io porto a bella posta la testa spettinata, Lume a petrolio sopra le mie spalle. Mi piace illuminare nelle tenebre L’autunno spoglio delle vostre anime. E mi piace quando una sassaiola di insulti Mi vola contro, come grandine di rutilante bufera, Solo allora stringo più forte tra le mani La bolla tremula dei miei capelli. È così dolce allora ricordare Lo stagno erboso e il suono rauco dell’ontano, Che da qualche parte vivono per me padre e madre, Che se ne fregano di tutti i miei versi, E che a loro sono caro come il campo e la carne, Come la pioggia fina che rende morbido il grano verde [a primavera. Con le loro forche verrebbero a infilzarvi Per ogni vostro grido scagliato contro di me. Miei poveri, poveri contadini! Voi, di sicuro, siete diventati brutti, E temete ancora Dio e le viscere delle paludi. O, almeno se poteste comprendere, Che vostro figlio in Russia È il più grande tra i poeti! Non vi si raggelava il cuore per lui, Quando le gambe nude Immergeva nelle pozzanghere autunnali? Ora egli porta il cilindro E calza scarpe di vernice. Ma vive in lui ancora la bramosia Del monello di campagna. Ad ogni mucca sull’insegna di macelleria Da lontano fa un inchino. E incontrando i cocchieri in piazza, ricorda l’odore del letame dei campi nativi, Ed è pronto a reggere la coda d’ogni cavallo, come fosse uno strascico nuziale. Amo la patria! Amo molto la patria! Anche con la sua tristezza di salice rugginoso. Adoro i grugni infangati dei maiali E nel silenzio della notte, la voce limpida dei rospi. Sono teneramente malato di ricordi infantili, Sogno delle sere d’aprile la nebbia e l’umido. Come per scaldarsi alle fiamme del tramonto S’è accoccolato il nostro acero. Ah, salendo sui suoi rami quante uova, Dai nidi ho rubato alle cornacchie! È lo stesso d’un tempo, con la verde cima? È sempre forte la sua corteccia come prima? E tu, mio amato, Mio fedele cane pezzato?! La vecchiaia ti ha reso rauco e cieco Vai per il cortile trascinando la coda penzolante, E non senti più a fiuto dove sono portone e stalla. O come mi è cara quella birichinata, Quando si rubava una crosta di pane alla mamma, e a turno la mordevamo senza disgusto alcuno. Io sono sempre lo stesso. Con lo stesso cuore. Simili a fiordalisi nella segale fioriscono gli occhi nel viso. Srotolando stuoie d’oro di versi, Vorrei dirvi qualcosa di tenero. Buona notte! A voi tutti buona notte! Più non tintinna nell’erba la falce dell’aurora… Oggi avrei una gran voglia di pisciare Dalla mia finestra sulla luna. Una luce blu, una luce così blu! In così tanto blu anche morire non dispiace. Non m’importa, se ho l’aria d’un cinico Che si è appeso una lanterna al sedere! Mio buon vecchio e sfinito Pegaso, M’occorre davvero il tuo trotto morbido? Io sono venuto come un maestro severo, A cantare e celebrare i topi. Come un agosto, la mia testa, Versa vino di capelli in tempesta. Voglio essere una vela gialla Verso il paese per cui navighiamo. |
La canzone della Cagna di C. Ferrari
La canzone della Cagna di Luisa
Arrivederci, amico mio, arrivederci. -
O vecchio mio, tu mi sei nel cuore.
Questo distacco destinato
Un incontro promette in futuro. -
Arrivederci, amico mio, senza parole e gesti,
Senza tristezza e aggrottar di sopracciglia.
Morire in questa vita, non è una novità,
Ma più nuovo non è certamente vivere.
Un usignolo gorgheggia luce
le lune danzano senza timore
nell’eterno che non conta le ore
né conta i minuti meno convessi
tutti riflessi nel caldo buco nero.
notturno! oh mio notturno!
nello spazio incorniciato dagli occhi
i corpi suonano note luminescenti
baci incandescenti bruciano l’ acetilene
un lungo lento lucente amplesso scintilla
e nel notturno finalmente s’accende la candela.
"Esenin, il poeta metà lupo e metà agnello, che più passa il tempo e più amo. Da ragazzo l'ho imitato per anni, così come pensavo che lui fosse. Gli assomigliavo persino fisicamente: avevo una sua vecchia foto, che un giorno mia madre trovò e si stupì: "Ma che foto è, che fai tu con un cilindro in testa?". Diceva di essere l'ultimo dei poeti contadini; certo non era del tutto vero, come ogni artista si inventava le cose, e però era sincero: inventava solo le cose a cui credeva veramente. A sedici anni era ospite dei nonni contadini, ma col cilindro e il vestito nero. L'incontro a Mosca con Isadora Duncan, con cui ebbe una storia d'amore per anni. Comunicavano benissimo anche senza sapere la lingua l'uno dell'altro. A Parigi si erano fatti cacciare dall'albergo perché lei ballava nuda mentre lui recitava versi in russo. Era un uomo strano, contraddittorio, beveva, picchiava le donne, e però sapeva essere dolcissimo. Il primo incontro con Isadora Duncan, in un salotto di Mosca dopo la rivoluzione. Non aveva detto una parola per tutta la sera, solo al momento di essere presentato le aveva fatto in silenzio uno stupendo sorriso. E alla fine le aveva chiesto se amava i contadini. Prima di suicidarsi scrisse un Congedo, nella stanza mancava l'inchiostro e per non svegliare nessuno scrisse allora col sangue."
da Angelo Branduardi - canzoni, a cura di G. Comolli, ed. Lato Side, Roma 1979
qui altre poesie e file audio originali
www.massimo-rossi.com/esenin.htm